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Michela Murgia Accabadora Einaudi 2014

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Michela Murgia “Accabadora” – Einaudi 2014

 

"Nel sole violento di luglio il dolce le cresceva in mano, bello come a volte lo sono le cose cattive".

 

Nella 'atemporalità' del testo non v’è alcuna volgarità se al vuoto ‘nulla’ d’una ragione che ci sfugge sostituiamo il ‘niente’ esistenziale che si allontana dalla materialità di una vita appesa al solo filo dell’esistenza, che la specificità è di per sé prova di confusione arbitraria e ingiustificata. Sì che ‘nulla’ ha valore di negazione surrettizia di ciò che non è mai stato, mentre ‘niente’ è punto fermo di un’accezione della concreta propensione di ciò che è, come di qualcosa di esistenziale che viene meno. Così è della morte che dona e viceversa riceve l’ “Accabadora” figura mitica sarda nell’omonimo libro di Michela Murgia, come a voler stemperare nel riscatto di se stessa il prosieguo della propria vita. Il diritto di ognuno a un’assenza (il nulla) che nella finzione letteraria l’autrice sostituisce con la presenza (il niente) di una realtà sociale molto discussa e in qualche modo discutibile quale l’eutanasia. L’applicazione di quel “libero arbitrio” che è la chiave di volta della propria esistenza, come in architettura lo è la pietra centrale di un arco che al momento opportuno cede all’inganno del tempo e collassa nel vuoto che lo sostiene. Ciò che accade quando all’esigua forza portante, al ‘niente’ surrettizio si sostituisce il vuoto ‘nulla’, di per sé sconfinamento dell’ “essere” nel riconoscimento immotivato del “non essere”. Ma l’autrice non afferma quanto appena detto, tuttavia lo conferma attraverso i suoi personaggi sostenuti da una forza interiore innata, data dalla concretezza di un mito, quello dell’ “Accabadora”, sopravvissuto nel tempo alle evoluzioni e decadenze di quella che ci ostiniamo a chiamare ‘società di diritto’ con fare oltremodo arbitrario della natura esperienziale umana. Nel crescente andamento del romanzo assistiamo peraltro al progredire di un plausibile futuro del temperamento scrittorio dell’autrice nel contesto ideologico dei suoi personaggi, come per un improvviso balzo in avanti con un misto di empatia e d’amore, dal verosimile alla normalizzazione dello straordinario, che non conosce parole adeguate, se non quel certo stare al di sopra degli eventi con uno sguardo che non giudica, cioè mancante di un giudizio ultimo che allora sì, segnerebbe la volgarità di una distinzione inappropriata. Così come la Yourcenar fa dire ad Adriano: “…Cerchiamo d’entrare nella morte a occhi aperti.”, Michela Murgia s’avvale nell’ “Accabadora” di rinsaldare il mito dell’eutanasia che sostituisce al presunto ‘nulla’ il “niente e/o il tutto” dell’esistenza vissuta.

 

"Ora sei custode del tempo ... come coloro che ti hanno preceduto dovrai rimanere. Più malvagi saranno i tempi, più l'adesione all'antica legge parrà ribellione o sedizione."

S.Atzeni.

 

L’autrice.

Michela Murgia, scrittrice, opinionista, ha pubblicato per Einaudi “Viaggio in Sardegna”, “Undici percorsi dell’isola che non si vede”, “Il modo deve sapere” che ha ispirato il film di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti”; “Accabadora” Premio Campiello e Premio Supermondello 2010, nonché il più recente “Tre ciotole” uscito postumo. Nel 2018 ha presentato un importante ritratto sulla scrittrice Grazia Deledda “Quasi Grazia”. Altresì s’avvale a pieno titolo di far parte di quella esclusività della cultura sarda che in passato ha premiato Grazia Deledda “Canne al vento” e Giuseppe Dessì “Paese d’ombre” che non stento a definire due capolavori, per l’essenzialità d’una scrittura colta quanto esaustiva di quel ‘sentire’ tipicamente isolano che fa dell’esperienza umana un tutt’uno con la natura che la circonda, in virtù dei valori universali debitamente riconosciuti.

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